Venezia – Non è una sorpresa che il film di Cosimo Gomez, esagerato già nei cartelloni e in come trucca i suoi attori, sia il film sorpresa di questa stagione italiana. Brutti e Cattivi arriva a Venezia (nella sezione Orizzonti) mentre il festival volge alla chiusura e porta un colpo di genere e demenziale molto atteso, con una storia di rapine, fughe e inganni tra la periferia e la parrocchia. La versione paradossale delle ambientazioni del solito cinema italiano.

Eppure il dettaglio meno consueto e prevedibile di Brutti e Cattivi non è il look assurdo dei personaggi (quello è semmai il più godereccio) quanto il rapporto particolare e malato che questi hanno con la religione. Non la religione istituzionale ma quella dei culti periferici, tra il deviato e l’improbabile, versioni deformi delle vere religioni nate e fiorite ai margini della società, in quelle che sono vere e proprie discariche umane.

Sembra insomma il medesimo bacino umano marginale in cui si muovono le gemelle di Indivisibili, quei posti in cui si mescolano l’immigrazione straniera e la disperazione nazionale, però qui all’insegna del ridicolo. In Brutti e Cattivi i preti raccolgono le speranze e le canalizzano in culti personali per dominare i propri fedeli e se Indivisibili aveva quasi timore di questi personaggi per quanto sono abietti, a Cosimo Gomez invece quest’umanità che mescola immigrati, storpi, fattoni e nani come fossero una comunità fa ridere per quanto è kitsch.

E del resto tutto il film gioca con il cattivo gusto, ne abusa per i suoi fini, per far ridere e per dare credibilità all’assurda casualità che domina la storia. Già l’idea di far fare una rapina a degli idioti che sognano una casa a Cartagena (con piscina con filtraggio dell’acqua), mutilati in carrozzina o gangster da videoclip rap è eseguita magistralmente.

Proprio quando sembrava che i film italiani stessero prendendo il coraggio di fare cinema di genere puro (non contaminato dal solito intimismo d’autore), Brutti e Cattivi mescola diversi generi rispettandoli tutti, fa commedia e cinema di rapine dimostrando di conoscere entrambi. Addirittura è così intelligente da resistere a ogni tentazione sociale, conscio che, se presentato bene, non c’è dettaglio che il pubblico non colga.

Non c’è quindi un briciolo di pietismo, anzi uno sguardo amabilmente spietato su questi uomini e donne assurdi (Claudio Santamaria senza gambe e senza capelli ma con baffoni e un tatuaggio che recita “Magnafregna”, Marco D’Amore fattone alla giamaicana e Sara Serraiocco senza braccia) coalizzati intorno a 4 milioni di euro di proprietà della mafia cinese. Gomez non è dalla parte di nessuno se non da quella del divertimento, del godimento di una storia raccontata con ritmo e passione per i costumi e le assurde fissazioni dei personaggi.

coverlg_home1

Come non capita mai nel cinema italiano l’esordio di Cosimo Gomez è un film in cui la sceneggiatura funziona come un congegno ad incastro, pienamente in linea con il genere del cinema di rapina. C’è una girandola di truffe, c’è sempre qualcosa che il film non ci ha detto e che ci presenta a sorpresa (ad un certo punto nemmeno troppo a sorpresa, ma non è un problema).

Così, nonostante un abuso di computer grafica non sempre di livello, tiene viva l’attenzione su quattro personaggi idioti e vanitosi, ovviamente brutti e cattivi come il titolo li obbliga a essere (tutti tranne la femme fatale senza braccia con una passione per Cristo e il sesso, cosa che trova particolare coincidenza nel parroco africano) ma disegnati con una precisione che (anche questa) non appartiene al cinema italiano recente, abituato a lavorare sulla suggestione e non a mostrare i dettagli.

Invece qui sono proprio i costumi assieme al trucco e parrucco a costituire il comparto determinante. Gomez, che ha anche scritto la sceneggiatura con Luca Infascelli, non si fa sfuggire occasione per aggiungere elementi, non lascia passare un personaggio sullo schermo senza dargli personalità o un piccolo assolo, senza che abbia un suono particolare e una ridicolaggine tutta sua (lo showcase di freaks che ballano ad Halloween è un gioiello tra il camp e il kitsch). Addirittura anche il monotono Colangeli trova un commissario da fumetto, denso di tic e con una prosopopea che trasuda fiducia nel sistema proprio come i suoi baffi.

Vedendo Brutti e Cattivi si capisce che è in questa maniera che è davvero possibile portare sullo schermo un paesaggio nuovo, uno inedito per il nostro cinema, in cui a differenza di quelli cui siamo abituati storie di criminali, colpi audaci, macellai russi e cinesi con il mal di schiena, africani avidi e puttane dal buon cuore, siano credibili.

The post Brutti e Cattivi, la sorpresa italiana a Venezia: quando la malavita incontra il kitsch appeared first on Wired.