L’aumento è stato esponenziale. In pochi anni Milano si è arricchita di spazi di coworking, fablab e makerspace. Nel 2013 si contavano meno di dieci strutture, mentre oggi, nel solo albo ufficiale del Comune di Milano, ne sono registrate 73. Non sono tutte, perché in città ce ne sono almeno altre venti. E nuovi progetti sono ai blocchi di partenza. Per questo il Comune ha stanziato fondi freschi per sostenere la manifattura del futuro. La giunta ha approvato un investimento di 370mila euro, a disposizione sia delle nuove attività, sia di quelle già esistenti ma in fase di restyling. L’obiettivo è di accrescere il numero di spazi di coworking e di laboratori per maker, popolando in particolare le periferie o i quartieri più sguarniti.
La regia dell’operazione è in mano all’assessorato alle attività produttive, commercio e lavoro, guidato da Cristina Tajani. “I nuovi luoghi di lavoro consentono allo stesso tempo di rivitalizzare i quartieri cittadini e di creare opportunità di lavoro per giovani e professionisti interessati a lavorare in rete”, spiega l’assessore. Il bando per assegnare i 370mila euro sarà pubblicato nelle prossime settimane.
I fondi sono suddivisi in due misure. La prima agevola le nuove attività, appena inaugurate o di prossima apertura, e privilegia chi opera in periferia. Sul piatto ci sono 140mila euro per i coworking e 140mila per makerspace o fablab, che copriranno fino alla metà dell’investimento per un tetto massimo di 20mila euro. Gli imprenditori dovranno dimostrare la qualità del loro progetto e saranno premiati anche per i tempi di attivazione e per la capacità di coinvolgere il territorio circostante, con eventi, corsi di formazione o convenzioni con i negozi.
La seconda misura sostiene coworking o laboratori di maker già iscritti all’albo del Comune, ma che non hanno mai usufruito di aiuti pubblici municipali. Palazzo Marino stanzia 89mila euro. L’importo massimo è di 10mila euro e copre fino alla metà delle spese. Il bando stimola anche gli spazi già esistenti a iscriversi ai registri comunali. Gli spazi devono rispettare alcuni requisiti minimi. I coworking devono avere almeno dieci postazioni, offrire banda larga o wifi, spazi comuni (come un sala riunioni) e servizi (come stampanti condivise e sala ristoro). Makerspace e fablab, invece, devono avere macchine per la fabbricazione digitale, tenere corsi per l’uso ed essere aperti almeno per 25 ore a settimana. Inoltre tutti gli spazi devono promuovere incontri, conferenze e approfondimenti, avere un sito con informazioni trasparenti sul servizio (come orari e tariffe) ed essere in regola con le norme, il fisco e le regole di accessibilità per i disabili.
Con quest’ultimo bando, che rientra nel più grande progetto Manifattura Milano (valore totale: 10 milioni di euro), Palazzo Marino punta a ripopolare le periferie con attività imprenditoriali innovativi. La maggior parte dei coworking e dei makerspace si trova in centro, nel quartiere Isola o nel quadrante a nord di piazzale Loreto. Il Comune sta già offrendo propri immobili in periferia per insediare startup di manifattura 4.0. Quattro spazi sono disponibili a sud, nell’area di Porto di Mare, e sette a nord-ovest, in via Appennini. Trenta ettari di campagna vicino alla cascina Nosedo, nell’area sud di Milano, sono stati messi a disposizione per progetti di agricoltura innovativa. Nel complesso, dal 2013 il Comune ha speso 690mila euro per coworking, fablab e makerspace. Con questo nuovo ciclo di finanziamenti, la cifra stanziata supererà il milione di euro.
Il mercato, nel frattempo, è cambiato. “Vediamo una specializzazione settoriale degli spazi, che si qualificano. Ci sono coworking che si rivolgono agli architetti, altri agli avvocati”, chiosa Tajani. Il coworking di Yatta, ad esempio, è frequentato da progettisti, designer e architetti, che sfruttano il fablab collegato per realizzare prototipi delle loro idee. “Abbiamo aperto ad aprile del 2014. Eravamo partiti con un progetto puramente educativo di stampa 3D e fabbricazione digitale”, ricorda Marco Lanzi, confondatore della società. Era la prima ondata della rivoluzione dei maker in Italia e la stampa 3D suonava ancora come una parola esotica. Oggi l’attenzione è cresciuta, tanto che a luglio sono state aggiunte quattro postazioni di coworking alle sei già esistenti, arrivate a saturazione. Inoltre, Yatta fa corsi in laboratorio per educare alla modellazione 3D.
In centro ha aperto anche il primo coworking di una sindacato. Alla fine del 2015 la Cgil milanese inaugura Worx, che ospita molte partite Iva. “Il mercato è cambiato”, riconosce il responsabile, Stefano Daprile. Perché “la percezione all’inizio era che il coworking fosse un fenomeno temporaneo, scelto da una startup per ragioni di costi. Oggi invece per molte persone il coworking è una prima scelta, anche per attività tradizionali come quella di avvocato”, aggiunge. Lo spazio della Cgil ha 30 postazioni, su cui ruotano circa 700 liberi professionisti. Il ricambio è veloce e molti si rivolgono al coworking del sindacato per poter usufruire dello sportello di assistenza fiscale.
A Milano è cresciuto un fenomeno come Talent Garden, la rete di coworking fondata da Davide Dattoli, che oggi conta 18 spazi tra Italia ed Europa. L’anno scorso la società di spazi condivisi ha chiuso un aumento di capitale da 12 milioni di euro, incassando il sostegno del fondo di investimenti Tamburi, che ha tra i propri principali azionisti dinastie dell’imprenditoria italiana, come i Dompé, gli Angelini, Ferrero e D’Amico.
Il settore ha attirato anche multinazionali dell’immobiliare, come il gruppo lussemburghere Regus, quotato alla Borsa di Londra. Dei suoi tremila centri business sparsi in 900 città del mondo, quattro sono a Milano. Altri quattro ne ha l’immobiliare italiana Copernico, con spazi anche a Torino e Bruxelles.
Se il modello di business del coworking è più semplice, poiché si basa principalmente sull’affitto di spazi, più complesso è trovare un equilibrio nella gestione di fablab e makerspace. “Sono ancora pochi i modelli sostenibili economicamente – ammette Lanza -. Mancano ancora gli attori dell’industria 4.0”. Imprese, quindi, che siano disposte a collaborare con i maker per sviluppare i propri prodotti in modo innovativo, prima di avviare la produzione su larga scala. La partita è aperta.
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