(Foto: Scuola di fallimento/Play Res)
(Foto: Scuola di fallimento/Play Res)

Parlare male del web e dei social media è un po’ lo sport nazionale e chi lo pratica si sente tanto intelligente e arguto. Ma il mondo virtuale non è solo il regno della vanità e del bullismo che spesso si dipinge, e tenersene lontano vuol dire anche perdere interessanti occasioni di approfondimento. YouTube è il simbolo delle potenzialità della rete: nato per essere una videoteca, è oggi uno tra i più potenti canali di confronto adoperati dalle nuove generazioni. E se Facebook si sta gradualmente trasformando in un club di ultraquarantenni, su YouTube i giovani (sia tra gli youtuber sia tra gli spettatori) sono in maggioranza.

La critica ai giovani di oggi, ai loro miti e al loro mondo è un altro sport nazionale, praticato con passione da adulti evidentemente convinti che gli anni Ottanta fossero pieni di stimoli intellettuali, oltre che il regno del buon gusto. Ma se ci si prendesse la briga di starli a sentire, i giovani di questi tempi, forse si scoprirebbe che hanno tante cose interessanti da dire.

Se io fossi la ministra all’Istruzione Valeria Fedeli, per esempio, mi piazzerei davanti a YouTube e cercherei di rispondere in questo modo a una domanda centrale per un educatore: di che cosa sentono bisogno, oggi, i ragazzi? Di che cosa ci chiedono di parlare con loro? E la ministra, e le istituzioni in generale, scoprirebbero, così, che uno tra i problemi che i giovani affrontano più spesso è quello delle pari opportunità. Si parla di diritti delle persone Lgbtqi; di problemi come il sessismo, la cultura dello stupro, il razzismo; del diritto all’affermazione di sé, in una società che sembra non accorgersi di cambiamenti che già esistono e che rifugge nascondendo la testa sotto la sabbia.

Ci sono canali come quello di Cimdrp, laureata in psicologia che fa della parità l’oggetto principale dei suoi video, insegnando, per esempio, l’importanza di adoperare correttamente le parole che riguardano il genere e l’orientamento sessuale e, più in generale, quelle che fanno riferimento a persone. Perché “le parole sono importanti” e non adoperarle correttamente significa anche ledere qualcuno nel proprio diritto più basilare, quello di esistere. E nella rubrica Parità in real life gli spettatori sono posti di fronte a episodi di vita quotidiana che mettono in luce quanto ancora lunga sia la strada da percorrere.

In canali come quello di BarbieXanax, giovane critica cinematografica, ci si trova a riflettere di messaggi stereotipati e razzisti nei film e, di riflesso, nella società; di postcolonialismo; di inclusività anche in aspetti come la cosmesi e la moda; di cliché aberranti in tv e nella pubblicità; di promozione di una società democratica ed egualitaria.

Un canale come quello di Tia Taylor, americana laureatasi alla Bocconi e titolare di una startup, affronta temi come il razzismo, l’appropriazione culturale, le differenze culturali e sociali tra gli Stati Uniti e l’Italia e le considerazioni che se ne possono trarre. Molto naturale nel mostrarsi struccata all’inizio dei video-tutorial in cui parla del modo in cui realizza il suo make up, propone così un’immagine estremamente positiva, lontana dalla logica del shaming che è purtroppo ancora dominante in Italia.

Ho citato solo tre youtuber, ma gli esempi potrebbero essere molti altri. E sentire tanti giovani proporre riflessioni intelligenti su temi importanti riconcilia con il web e rovescia gli stereotipi disfattisti. Tra l’altro, si avrà modo di notare che le osservazioni profonde non mancano neppure nei canali dedicati agli argomenti più frivoli e disimpegnati.

E soprattutto si tratta di un buon modo per capire di che cosa i giovani sentano il bisogno di parlare. Lo dimostrano i commenti, che sollecitano approfondimenti, condividono esperienze, promuovono il confronto. E che dipingono ragazzi che si fanno domande su temi spesso censurati dalle agenzie formative, come, appunto quello della parità in tutte le sue sfaccettature. Mentre nelle scuole si pratica ancora la caccia alle streghe nei riguardi della fantomatica (e inesistente) ideologia gender, arrivando persino al ritiro degli opuscoli Unar dedicati all’educazione alla diversità, sul web ci sono ragazzi che si confrontano in modo aperto e maturo su questi temi. YouTube ha, di fatto, sopperito a un bisogno educativo al quale la scuola e l’università non hanno fornito una risposta adeguata.

Allora, cara ministra Fedeli, forse farebbe bene a dedicare a questi giovani un po’ del suo tempo prezioso. E noi adulti con la tendenza a fare paternali dovremmo fare lo stesso. Per poi, si spera, tradurre in proposte operative i tanti spunti ricevuti. Che si possa, prima o poi, avere una scuola e un’università meno scollate dalla realtà?

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